L’America a Pomigliano d’Arco
Saggio sulle condizioni di lavoro presso lo stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco, la strategia-Marchionne ed la conseguente politica sindacale.
Saggio sulle condizioni di lavoro presso lo stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco, la strategia-Marchionne ed la conseguente politica sindacale.
La Fiat non è stata un’opportunità di lavoro soltanto per il territorio torinese o per quello circostante i vari stabilimenti produttivi, ma per tutti gli italiani. Moltissimi sono stati i meridionali che si sono recati al Nord, a partire dai primi anni ‘50, con la speranza di realizzare il loro piccolo sogno nel cassetto: il posto fisso, ovvero, la certezza di ricevere un salario ogni trenta giorni, anziché vivere “alla giornata” facendo l’artigiano o, ancora peggio, il contadino. Quindi, non è raro trovare paesini come Monteverde, tra la valle d’Ofanto e l’Irpinia, abitato da millecento anime, che ad Agosto raddoppiano, quando tornano per le vacanze estive gli emigrati. Molti di questi sono dipendenti Fiat ormai integrati a Torino, in fabbrica però conservano sempre l’epiteto di “Napuli”, come tutti i meridionali che si distinguono dai Barot (tizzone di legno), come sono chiamati gli operai piemontesi provenienti da zone rurali. Non nascondono, però, un pizzico di orgoglio quando i loro figli, magari esponendo il percorso di studi intrapreso a qualcuno che glielo ha domandato, rispondono facendo sentire l’accento torinese.
La Fiat è stata anche questo, ovvero un’occasione di lieve emancipazione per tanti meridionali arrivati al Nord con la “valigia di cartone” e che, dopo diversi anni di duro lavoro, sono riusciti ad acquistare un appartamento in un condominio nel quartiere dormitorio di Mirafiori e a garantire ai figli di poter sperare in una vita migliore della loro.
Tratto da L’AMERICA A POMIGLIANO D’ARCO. Questa è l’Italia che piace meno. Di Felice Dileo