Negli Stati Uniti d’America i detenuti malati arrivano in ospedale ammanettati mani e piedi, anche quando sono donne che stanno per partorire.
Katy Geer ha dato alla luce la figlia Micol con mani e piedi incatenati ad un misero lettino. Nessuna indulgenza, non un briciolo di pietà.
Sullo sfondo di un sistema carcerario senza scrupoli, nasce una storia umana intensa e commovente, specchio di una società assopita ed egoista per la quale l’apparenza sembra essere l’unico dato che conta.
Dentro di te… dentro noi stessi: un viaggio, questo di Francesca Sassano, alla scoperta di un complesso universo maschile nel quale il protagonista, un affermato psicoanalista, si trova a fare i conti, inaspettatamente, con nuove e travolgenti esigenze che cambieranno in modo radicale la sua vita.
Inevitabile il confronto con l’altro sesso, qui interpretato da donne risolute e ambigue oppure fragili e insoddisfatte, che si dibattono alla ricerca di una “salvezza” non sempre raggiunta.
“Aveva il dono del silenzio che calma, che scende come la sera d’estate caldo ed avvolgente, che prende il cuore in tumulto e porta con sé ogni disperazione.
Non aveva mai incontrato uno sguardo così sereno e limpido, non aveva mai visto in lei un gesto fuori misura.
Anche nell’avvicinarsi a lui, Nihhila, aveva una dolcezza unica, anche un po’ sofferente, ma essa ti entrava dagli occhi e la trattenevi fino all’ultimo respiro.
Non chiedeva nulla, il suo corpo era docile ad ogni esplorazione ed il suo viso non si trasformava mai in una smorfia irritante.”
Nihhila è una jogini, una donna costretta alla prostituzione da un’usanza religiosa indiana: data in sposa a una divinità, il suo corpo diviene pubblico e come tale sottoposto a vessazioni ripetute e disumane.
Una jogini non può avere famiglia, né affetti. Un destino segnato fin dalla prima infanzia da un nodo formatosi tra i capelli.
Una storia sapientemente orchestrata su un registro narrativo coinvolgente, con un finale inatteso.
“Mi chiamava, Angelina la straniera, lei diceva, per il fatto che parlavo poco, in italiano e, a suo dire, avevo sempre la testa tra le nuvole.
Ma quel suo chiamarmi così, era un sibilo pieno di significato, esprimeva un rifiuto per la mia persona, una diffidenza e una diversità che io, poi, ho affermato.
Perché i figli, per loro, erano un esercito, una disponibilità di utilizzo che aveva nei padri una ragione di possesso. Le madri non avevano nulla, solo il dovere di piangere se i figli gli venivano sottratti o se sparivano.”
Una storia tenera e forte, attraverso la quale Francesca Sassano torna a parlare di donne. Angelina è una giovane del Sud, lacerata da una vicenda giudiziaria e familiare, esasperante e infinita, il cui epilogo però alimenta speranze mai sopite.